Alessandro Casciaro
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Andrea
Facco

ULTIMO ATTO

29.05. 29.06.2019
Alessandro Casciaro
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Tutta la poetica di Andrea Facco ruota attorno al concetto sotteso alla dimensione pittorica.
Lo si può definire un pittore concettuale poiché il suo lavoro invita l’osservatore a ragionare sui meccanismi visivi e formali celati o svelati dalla superficie pittorica. Torna a stupirci con un’installazione che gioca con la citazione di celeberrimi dipinti dell’arte del passato e di quella moderna, dipinti che hanno segnato la sua formazione d’artista, concentrando il proprio sguardo e il nostro su un tema preciso: la firma del pittore, mettendo in scena un système où tout se tient, come direbbe Ferdinand de Saussure. Piccoli quadri, realizzati con precisione e acribia, riproducono fedelmente la porzione di un dipinto: brandelli di una composizione completati da un’area di muro bianco delimitata da un essenziale segno di matita a indicare lo spazio di un’assenza, un vuoto che il visitatore riesce a colmare pescando l’immagine completa nel repertorio della memoria. Sui dipinti della serie denominata # Brand names, vediamo solo la parte del quadro che riporta la firma autografa dell’autore. Che significato ha la firma per un artista? Certifica la conclusione del lavoro? Ultimo atto posto sulla tela o sulla tavola a siglare il preciso momento in cui l’opera inizia a vivere di vita propria e non è più solo ed esclusivamente di chi l’ha creata? È un segno di autenticità senza il quale un fruitore potrebbe osservare il quadro con sospetto? Di fatto innumerevoli sono i casi di opere non firmate, soprattutto nell’arte antica, ma anche in epoche più recenti.
Giorgio Vasari, nella seconda metà del Cinquecento, aveva definito l’iscrizione sulle opere con il termine “gofferia”. Pur evidenziando la stranezza data dalla compresenza di diversi codici nell’opera – visivo, segnico e linguistico – Vasari si interessò alle iscrizioni anticipando di secoli una metodologia di studio della storia dell’arte di tradizione recente. Cosa ci dicono, quindi, le iscrizioni, fonti nascoste che come rebus vanno decifrate per meglio interpretare l’opera? Talvolta completano il quadro dell’opera, per usare un gioco di parole, aggiungendo informazioni all’immagine ma soprattutto fornendoci notizie sul loro autore. Ecco perché le opere che recano la firma hanno un qualcosa di misterioso più di quelle che ne sono prive: se in passato l’artista aveva ritenuto necessario apportare un segno distintivo ulteriore, che non rientrava affatto nella consuetudine, un motivo c’era. Andrea Facco, avvezzo allo scrutinio sui topoi della pittura, si concentra questa volta proprio sull’identità dell’artista immortalata nei secoli attraverso la propria sigla. Ancor oggi la firma personale ha un valore comprovante l’autenticità, e non solo nel mondo dell’arte ma nella nostra vita quotidiana. In un’epoca sempre più digitale siamo continuamente chiamati a dimostrare chi siamo attraverso il nostro nome, scritto a mano, possibilmente accostato alla nostra fotografia riprodotta sulla carta d’identità o sul passaporto. Le firme autografe di Jan van Eyck, Bosch, Dürer, Antonello da Messina, Tiziano, Caravaggio, Artemisia Gentileschi, il Canaletto, Corot, Courbet, Vincent van Gogh, Segantini, Modigliani, tramandateci attraverso i dipinti sono allestite come una quadreria di presenze, di fantasmi dell’arte del passato. Artisti che hanno definito i percorsi della nostra percezione del mondo come Morandi, Boccioni, Severini, Balla, Carrà, de Pisis, per arrivare a Mirò, Dalì, Magritte, Picabia, Mondrian, Warhol, Lichtenstein, solo per citarne alcuni. E giungere ad un artista che proprio attorno al tema dell’identità sconosciuta e della sua assenza fisica ha costruito la sua attività come Banksy.
Ancora una volta Andrea Facco ci parla di pittura e del suo misterioso potere esercitato anche con un semplice segno a suggerire la presenza virtuale del suo artefice e chiamando proprio gli spettatori a completare l’opera.                

Daniela Ferrari
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